Tempi di nuove verità

Tempi di nuove verità

Da Norma Cossetto a Tito passando in modo irrazionale da Anna Frank. La politica locale, tutta con poche eccezioni, sulla strada del revisionismo storico.


Il “Giorno del ricordo”, istituito nel 2004, si porta dietro alcune bizzarrie e non riconoscerle è pura miopia politica. Onde evitare polemiche strumentali, scriviamo subito che non c’è nulla di sbagliato nel ricordare morti, sofferenze ed esodi figli di rappresaglie di popoli che hanno subito a loro volta morti, sofferenze, umiliazioni e deportazioni per alcuni decenni. Fondamentale è semmai non dimenticare il contesto storico e cosa è successo prima e dopo i fatti che si vogliono ricordare.

Le principali due bizzarrie del 10 febbraio riguardano la scelta della data stessa. Si ricorda il giorno in cui l’Italia firma la propria capitolazione e la perdita di territori e quindi il risultato della fallimentare politica che ha portato all’ingresso in guerra e alla successiva sconfitta. Il secondo problema è che quella data è decisamente vicina al 27 gennaio, al “Giorno della memoria” dedicato alle vittime di quella stessa violenza uscita sconfitta nella seconda guerra mondiale. L’errore è che molti tendono a mettere le due giornate in connessione tra di loro come se ricordare tutte le vittime, anche di due storie diversissime come queste, possa cancellare torto e ragione.

Forse è frutto anche di questa sbagliata tendenza la scelta del consiglio provinciale aretino di intitolare uno spazio comune ad Anna Frank e Norma Cossetto in occasione dell’8 marzo. Non uno spazio per ognuna, che condivisibile o meno può servire a ricordare due donne vittime (e non martiri!) di due diverse violenze, ma uno spazio comune. Non sappiamo se ci sono dei parenti in vita di Anna Frank, ma sarebbe curioso chiedere a loro o ad esponenti della comunità ebraica cosa pensano di questa intitolazione. A una ragazzina morta in un campo di concentramento e a una giovane donna, militante fascista, uccisa dai partigiani jugoslavi. Senza nascondersi e usando per entrambe la parola crimine per descrivere come abbiano perso la vita, va sempre detto che la ragazza italiana aderiva alla stessa ideologia che consentiva, anche in Italia, di deportare la popolazione ebraica di cui la famiglia Frank faceva parte.

Un altro elemento non preso in considerazione dai consiglieri provinciali è cosa sia veramente la Giornata internazionale della donna e quali siano origini e significato. Nata ad inizio del secolo scorso, è stato un momento di lotta politica e sindacale che ha permesso a molti paesi del mondo di fare progressi civili e sociali per quanto riguarda la vita delle donne. A tal proposito forse anche Clara Zetkin e Rosa Luxemburg, di fatto le madri politiche della Giornata internazionale della donna, meriterebbero maggiore spazio nella toponomastica locale.

Si tratta di una giornata che mette al centro dell’attenzione diritti e libertà, al punto che il fascismo in Italia la vietò e fu ripristinata solo dopo la Seconda guerra mondiale. La visione relativa all’universo femminile da parte del fascismo in effetti stonava molto con quella portata avanti dalle promotrici dell’8 marzo nel resto del mondo. Come c’è profonda differenza tra 27 gennaio e 10 febbraio, ce n’è altrettanta anche con l’8 marzo. Fare un minestrone di ricordi e commemorazioni non rende giustizia a nessuna di queste importanti date.

L’ultima novità in ordine temporale viene da Sansepolcro, dove una mozione di due gruppi di maggioranza chiede al Governo di attuare tutto ciò che è necessario per rimuovere l’onorificenza che nel 1969 l’Italia concesse al presidente jugoslavo Josif Broz detto “Tito” e ad altri membri della leadership del governo dello stato balcanico. Anzi la mozione si concentra solo su Tito, indicato come il “mandante” di tutto quello che è accaduto tra il 1943 e 1945 agli italiani che vivevano in Istria e Dalmazia. Va premesso che non risulta da nessuna parte che Tito abbia ordinato alcuna rappresaglia contro italiani e fascisti o che piuttosto queste iniziative, avvenute anche contro tedeschi e cetnici, non fossero prese da bande e gruppi locali con intenti vendicativi per quanto successo negli anni precedenti.

In ogni caso le colpe di questi episodi non possono cancellare le eroiche azioni di resistenza e poi di vittoria militare dell’Esercito partigiano jugoslavo contro il nazismo e il fascismo già a partire dal 1941 e che si sono rilevate fondamentali per l’andamento della guerra in Europa. Il quantitativo di soldati tedeschi ed italiani impegnati nel combattere i partigiani slavi era elevato e quindi furono forze sottratte dal fronte orientale e da quello creatosi successivamente allo sbarco in Normandia.

Infine è probabile che le onorificenze concesse ai vertici jugoslavi del 1969 fossero per l’importante contributo jugoslavo alla distensione internazionale. Grazie alla politica di Belgrado non allineata la vera cortina di ferro non passava dal confine dell’Italia orientale e la Federazione balcanica era di fatto uno stato cuscinetto tra Nato e Patto di Varsavia. Oltre a questo a cavallo tra anni ’60 e ’70, con la Jugoslavia che condannò l’invasione sovietica a Praga, si aprirono spazi per una forte collaborazione economica, turistica, politica tra Italia e Jugoslavia. In quegli anni iniziò la collaborazione tra Fiat e Zastava, furono aboliti i visti e si favorì la libera circolazione tra i due paesi, elemento importantissimo in realtà come Gorizia e Trieste, fu favorito il commercio reciproco transfrontaliero e soprattutto si arrivò all’Accordo di Osimo che servì anche a definire e rettificare i confini, oltre che a chiudere i contenziosi successivi alla Seconda guerra mondiale. Sempre in quel periodo vennero costruiti i sacrari come quello di Sansepolcro. La politica italiana, fortemente condizionata da quella americana e sotto il controllo della Democrazia Cristiana, non concedeva onorificenze in modo casuale.

Insieme-Possiamo lancia un appello a tutte le associazioni, movimenti e forze politiche con l’obiettivo di fermare il revisionismo storico in atto. Aree come la Valtiberina, dove la guerra è passata e dove c’era un famigerato luogo di internamento per civili jugoslavi, hanno il dovere di fermare il revisionismo storico e favorire conoscenza e approfondimento per le generazioni future e perché, nonostante il momento storico che viviamo, la memoria contribuisca al non ripetersi di drammi simili. Una vera occasione di approfondimento potrà essere il prossimo autunno nell’occasione del cinquantesimo anniversario dell’inaugurazione del Sacrario jugoslavo che custodisce le ossa di quasi cinquecento slavi morti sia a Renicci che nel Centro Italia. Fermare il revisionismo e non inseguire il populismo politico delle destre al potere? Insieme, Possiamo!

in foto l’inaugurazione del Sacrario Slavo presso il cimitero di Sansepolcro, 15 dicembre 1973 (Museo e Biblioteca della Resistenza)